Annalena e le altre

Il Novecento con occhi di donna

Autore: Paola De Gioannis
Anno: 2015
Pagine: 216
ISBN: 978-88-98692-25-5
Prezzo:€ 14,00
Note: Foto di copertina (Giardino Incantato, Palazzo Mazza-Serventi, Cagliari) di Edoardo Pes

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Il libro

La storia di Annalena, raccontata in prima persona, s’intreccia con quella delle donne che, nel corso della sua vita, hanno ricoperto un ruolo importante.
In un’ambientazione cagliaritana si sviluppa un racconto corale che attraversa l’intero arco del Novecento nei suoi passaggi più generali e nei mutamenti del costume, e si chiude con l’aprirsi del nuovo secolo e del nuovo millennio.
Le voci di queste donne, ciascuna delle quali traccia, di volta in volta, un segno considerevole nei giorni della protagonista, i loro volti, i percorsi delle loro esistenze emergono dal pallore di un mondo scomparso per diventare protagoniste esse stesse, ciascuna per un momento sottratta al silenzio e illuminata dalla luce della propria identità.
Insieme disegnano un mosaico nel quale, via via, si ricompone, in una città di provincia, l’evoluzione della donna nella storia del Novecento.

Dalle pagine del libro

36. Il ventennio appena trascorso, che aveva conosciuto la dittatura, l’orrore dell’olocausto, la guerra, si chiudeva con l’incalcolabile violenza dell’esplosione nucleare.

L’Italia tuttavia, al termine di quel drammatico ventennio, vedeva nascere la prima Costituzione Repubblicana della sua storia. Primo presidente del Consiglio dei Ministri fu nominato il democristiano Alcide De Gasperi.

La città di Cagliari, quasi interamente distrutta, veniva dichiarata Città Martire e riceveva la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Iniziava una storia nuova.

40. Era tornata la primavera. Per Amanda la primavera coincideva con i colori della sua città. La rocca del Castello che si stagliava nel cielo limpido segnato da piccole nuvole bianche, il tramonto del suo sole nel suo mare, la dolcezza di certe giornate che faceva perdonare il vento di altre. E poi c’era quel profumo di mare che solo i cagliaritani sapevano riconoscere. Quei luoghi le appartenevano, in quei luoghi erano impressi i volti di coloro che aveva amato, su quei muri, ancora diroccati, erano stampati i suoi ricordi.

Spalancò la finestra, il sole inondò di luce il pavimento e un calore tiepido si posò sul suo corpo minuto. […]

44. La casa era stata sistemata alla meglio e persino i vetri di carta apparivano caldi e luminosi. Molto spaziosa, a dispetto della guerra, conservava la sua antica bellezza. Era un palazzotto dei primi anni del secolo, che respirava da vicino il profumo del mare, in uno dei più bei viali della città. Ma l’incanto veniva dal giardino dove la statua di una giovane donna alla fonte, sospesa tra sogno e realtà, sprigionava alla luce incerta del tramonto, un fascino misterioso.

Quella era la casa di mio padre.

48. Il mare fa parte della mia cultura originaria, ed è ciò che più stabilmente mi lega all’immagine di mio padre. Per lui, e così fu anche per me, il mare era una creatura viva con la quale imparai a parlare. Avvertivo quando era felice di accogliermi e quando, invece, era adirato e mi respingeva. Avevo un gran rispetto per la furia delle onde e sapevo accettarla. Amavo tutto, il suo respiro lento e uguale, il suo abbraccio avvolgente, il profumo delle alghe, lo schiudersi delle conchiglie, il riflesso della luce che penetra dalla superficie ed evoca, nel silenzio, quella vita fuori dal tempo dove tutto può accadere.

Mio padre mi insegnò a nuotare prima ancora che a camminare. Sorreggeva il mio piccolo corpo disteso sull’acqua con la sua mano forte e, senza che me ne rendessi conto, mi aveva già lasciata sola. Convinta del suo sostegno, cominciavo la mia passeggiata sull’acqua. Mi muovevo come le piccole tartarughe che appena nate nuotano appiattite e spaventate senza alcuna meta apparente. Ma presto mi sentii sicura e, con lui al mio fianco, attraversai il golfo in tutte le direzioni. Era il mio elemento, solo nell’acqua mi sentivo in perfetta armonia con me stessa

136. Di politica in quegli anni si poteva anche morire, nelle strade e nelle università.

Eppure fu in quel decennio, in quei difficili anni Settanta, snodo cruciale della storia italiana, sempre in bilico fra sogni e violenza, che si delineò il resto della mia vita. Anni duri, di piombo, di contrapposizione aperta fra la destra e la sinistra.

Noi di sinistra eravamo più numerosi, ma i giovani della destra,almeno nella prima metà del decennio, erano appoggiati dalla polizia e meglio organizzati. Il Partito Comunista, accusato di aver tradito gli ideali rivoluzionari, era esso stesso oggetto di insulti e provocazioni da parte dei tanti movimenti in cui era frazionata la sinistra. Comparivano ancora i libretti rossi e le immagini di Mao. Partecipare a una manifestazione era ogni volta un rischio nonostante il poderoso servizio d’ordine con il quale i sindacati e il partito cercavano di garantire la sicurezza dei loro militanti. Eravamo tutti schedati. La questura conosceva i nostri nomi. Gli USA, che desideravo conoscere, mi rifiutarono il visto.

Gli slogan, da entrambe le parti, ogni tanto cessavano di essere politici per diventare astiosi, provocatori, minacciosi. Insieme alla violenza, si radicalizzavano le differenze. L’abbigliamento, la musica, i locali, la scelta stessa di una piazza o di un bar denunciavano immediatamente l’appartenenza. Tutto diventava ideologico.

162. – Stiamo per atterrare a Cagliari… il tempo a terra è… si pregano i signori passeggeri di allacciare le cinture…

Guardai giù. Ecco la Sardegna, un’isola di pietre antiche tormentate dal vento, immersa nel profondo blu. Avevo bisogno del mare, dei suoi colori, del suo abbraccio. Parigi era lontana con la sua arte, la sua straordinaria cultura, le sue tante possibilità.

La mia è davvero una piccola città, ma si affaccia su questo mare azzurro, turchese, smeraldo, argento… come è possibile che sia così bello!

Cercai le chiavi nella borsa. Entrai, silenzio e penombra. Spalancai le finestre.

La porta della stanza di mia madre era aperta, presi fra le mani lo scialle che avevo ripiegato sul letto subito dopo la sua morte e lo avvicinai al viso, il contatto mi diede un’emozione dolce e mi parve di sentire il profumo del suo borotalco. Toccavo serenamente gli oggetti che le erano appartenuti. L’angoscia andava scomparendo. Il dolore no, ma presto sarebbe diventato memoria, quella che si infila dentro e diventa parte di noi. La morte si andava intrecciando col corso della vita.

Mia madre era entrata per sempre nel tempo senza i giorni.

197. La guerra, prima quella del Golfo e poi della Jugoslavia, riproponeva il suo tragico volto proprio a due passi dalle nostre case. La morte, ancora una volta era più forte della vita.

Si era aperto, in questo modo, quell’ultimo decennio del secolo. Il bombardamento di Baghdad vissuto in diretta alla televisione, mostrava al mondo che la tecnologia era cambiata ma la storia della gente che muore era rimasta la stessa. Quella notte ho ascoltato alto nel cielo, come quando ero bambina al rifugio, il rombo minaccioso degli aerei che decollavano dalla base militare di Decimo.

E mentre si ridisegnava la geografia dell’Europa e il conflitto israelo-palestinese si apprestava ad attraversare il secolo, in Italia, sotto i colpi di Tangentopoli, fitto intreccio fra politica e affari, crollava la prima repubblica e si smembravano gli storici partiti politici.

Nasceva la seconda repubblica. Era l’epopea del disincanto.

215. Coloro che attendevano la prima alba del terzo millennio si preparavano a una notte indimenticabile.

Io non avevo niente da festeggiare, quella notte mi era estranea.

Accesi il televisore e mi accoccolai sulla poltrona. Quella gente sembrava impazzita, ballava, brindava e si agitava in un delirio di allegria che voleva essere liberatorio ma appariva soltanto rituale e soprattutto triste. Il nuovo millennio non mi sarebbe appartenuto. La mia storia era tutta dentro il secolo che se ne andava. Un secolo duro e contraddittorio, ma a quel secolo ero appartenuta, nel suo bene e nel suo male. Provavo una strana sensazione. Mi riconoscevo un poco in tutte le epoche passate, ma mi sentivo del tutto estranea a quell’alba che stava per arrivare. Non avevo curiosità per questo futuro. Quello che immaginavo non mi piaceva. Sì, mi interessavano i nuovi orizzonti della ricerca scientifica, della genetica, della medicina, gli studi sul cervello – il nostro organo più complesso – lo sviluppo della psichiatria e della psicoanalisi, ma le tecnologie applicate allo sterminio, quelle armi che rubavano il danaro agli studi sul cancro, e alla grande fame, il loro commercio in continua espansione, gli oltraggiosi sfregi alla natura, mi facevano pensare ad un mondo che i padroni di turno controllavano non più con il dolore come nel passato, ma attraverso un piacere soporifero capace di istupidire.

Spensi il televisore.