Introduzione di Cecilia Dau Novelli e Sandro Ruju (1/5)

Si sa che l’Italia è un paese povero di risorse minerarie e di ricchezze del sottosuolo. La sua principale ricchezza è stata da sempre del tutto immateriale, cioè si è fondata sulla grande ampiezza e vivacità  dei suoi imprenditori capaci di creare un tessuto di medie e piccole imprese costantemente capaci di rinnovarsi e aggiornarsi sia nei processi produttivi che nei prodotti.

Alcune produzioni manifatturiere ebbero inizio in Italia in epoca antica e poi furono trasformate in industria nella prima metà  dell’Ottocento. Ad esempio la produzione orafa che data dall’epoca etrusca e poi romana con una grande tradizione poi consolidata nel Trecento con la scuola senese, nel Rinascimento con alcuni grandi orafi artisti come Donatello e Cellini e infine  con il consolidamento dei distretti produttivi di Valenza, Vicenza, Arezzo e Firenze. L’industria tessile che conosce una prima fase organizzativa già  nel XII secolo con la lavorazione della lana nel milanese, poi ancora più strutturata con la nascita delle Corporazioni: Arte della lana, Arte dei Tintori, Arte della Seta, nel Comasco, a Biella e a Firenze. Anche l’industria del ferro e delle armi data dall’epoca romana con la scoperta di alcune vene metallifere nella zona di Terni e nella Val Trompia rimaste sempre quasi costantemente attive. Infine l’industria della ceramica che ebbe inizio prima nella zona della Magna Grecia e successivamente in epoca romana nell’Aretino fino a che nel Medioevo si diffuse l’uso del tornio poi meccanizzato nell’Ottocento.

Rispetto al quadro nazionale la Sardegna risulta per certi versi un caso anomalo:  infatti nell’isola l’importanza delle miniere risaliva già  all’epoca antica. Intorno al Duecento a.C. i romani avevano scoperto giacimenti di argento e piombo, che usavano intensamente per la produzione di monete e utensili per l’alimentazione. L’isola conquistò fin da allora una notevole rilevanza collocandosi al terzo posto dopo Spagna e Bretagna nella produzione dell’Impero romano. Poi l’attività  estrattiva riprese nel periodo pisano e infine alla metà  dell’Ottocento.

Ma anche per quanto riguarda il granito e il sughero le loro lavorazioni hanno un’origine antichissima. Il granito di Gallura fu utilizzato fin dall’epoca nuragica, circa Mille a.C., per le costruzioni sulla stessa isola, poi i romani cominciarono a esportarlo per costruire a Roma monumenti e ville, nel Rinascimento fu commercializzato dai pisani per costruire il colonnato del Duomo della loro città  e le colonne del Pantheon a Roma. Nell’Ottocento fu utilizzato per il palazzo della Borsa di Milano. Anche l’estrazione dalle querce e la lavorazione del sughero ha avuto origine nell’epoca nuragica e poi è continuata con i Fenici, i Cartaginesi, i Romani. Nella seconda metà  dell’Ottocento ebbe poi inizio la produzione organizzata.

Tutte queste attività  imprenditoriali hanno sempre mantenuto, pur con fasi alterne, una tradizione ben viva, trasmettendo saperi, culture, identità , manualità , in una parola diventando il centro propulsivo degli attuali distretti produttivi. Ma il loro cuore pulsante è sempre stato nel passato come nell’epoca più recente quello degli imprenditori, creativi e innovativi, artefici della loro impresa.

Del resto che gli italiani siano stati un popolo di fervidi imprenditori, oltre che di santi, navigatori e poeti, è ampiamente risaputo. Certamente geniali nelle migliaia di iniziative imprenditoriali di maggiore o minor successo, ma anche estremamente concreti e pratici nell’elaborare le migliori soluzioni produttive per le loro idee.

La realtà  ci riporta uomini dediti al lavoro e all’impegno ben oltre le prospettive del rendiconto economico: una vera e propria élite del lavoro. Uomini per i quali la creazione dell’impresa diventa il fine unico e ultimo di una intera vita. Uomini dei quali si sa, in effetti, assai poco, costretti come sono tra l’esaltazione agiografica e la repulsione ideologica.

La storiografia sugli imprenditori è stata – a parte gli ultimi vent’anni – assai avara di opere. Infatti, pur essendo stati uno dei soggetti principali dello sviluppo economico, essi hanno subito in passato della generale avversione riservata ai “padroni”. E così mentre una solida storiografia si sviluppava sui contadini e gli operai, i primi restavano invece nell’oblio di una memoria mancata. Certamente si doveva affrontare una grave carenza di fonti, aggravata dal pregiudizio nei confronti di quelle autoreferenziali, così abbondanti nella storia prodotta dalle stesse imprese, ma l’omissione – in parte proprio degli storici economici – non si può solamente giustificare con questa oggettiva difficoltà .

Per altro, il fatto che si tratti, in parte, di scritti autoreferenziali (tra cui profili biografici, prodotti dalla famiglia e autobiografici, pubblicazioni per anniversari di fondazione o per feste societarie, per mostre concorsi ed esposizioni, necrologi e commemorazioni) e cioè di quelle opere cosiddette “d’occasione” e a torto considerate minori, non limita il valore di questo genere di documentazione. Giacché la storia dell’industria e ancor più degli imprenditori soffre – ha osservato Giorgio Mori – di un “bisogno insopprimibile di materie prime” che devono essere cercate per ogni dove e un po’ in tutti i generi.[1] Anche perché questi scritti contengono una tale quantità  di riferimenti e informazioni (date, nomi, titoli di studio, attività  finanziarie, esperienze), che risultano indispensabili per una ricostruzione storicamente fondata del ceto imprenditoriale[2].

Certamente è assai arduo liberarsi dalla tentazione agiografica che queste fonti lasciano dentro lo storico, così come dalla noia e dalla ripetitività  di una storia costruita per forza di cose sulla ripetizione seriale di “casi” e storie di vita. Nondimeno una ricostruzione delle biografie, su larga scala, o meglio una prosopografia d’insieme, che aiuti a compiere le prime comparazioni e generalizzazioni appare non solo legittima ma ben lungi dall’essere condotta, per arrivare a delineare “un atlante dell’Italia industriale”, come anni fa aveva suggerito Silvio Lanaro[3]. Anche se non è facile reperire un numero elevato di storie di vita, omogenee e comparabili, con caratteristiche di una certa rappresentatività .

D’altra parte, nel campo della storia d’impresa si è da tempo avviata una nuova stagione di studi – come Duccio Bigazzi ha messo bene in luce – con l’intento di ricostruire il ruolo degli imprenditori in tutti i suoi aspetti (personali, imprenditoriali e manageriali), collegandolo strettamente alle altre componenti sociali (dai tecnici agli operai) che danno vita all’azienda[4]. E ciò al fine di giungere a tracciare un profilo complessivo nel lungo periodo della società  italiana.

Senza qui soffermarsi nella ricostruzione storiografica dei lavori sugli imprenditori usciti negli anni più recenti, basti dire che sono state pubblicate molte opere nate soprattutto dalla felice confluenza tra il ristretto alveo della storia economica e la storia delle élites dando vita a un quadro nuovo sui modelli di vita e di comportamento delle borghesie imprenditoriali. Fra gli altri si citeranno solo gli ultimi lavori di Valerio Castronovo e Franco Amatori che hanno contribuito – anche con la nascita di specifici Centri di ricerca –  ad avviare una nuova prospettiva dove l’imprenditore e l’impresa sono divenuti il centro dell’indagine.[5]

Lo strumento del Dizionario è stato in questo senso un prezioso tentativo, che partendo dalla più elementare delle conoscenze, quella biografica, riporta alla luce personaggi affogati e dimenticati nella storia locale minima dei luoghi nei quali hanno operato. Ne è stato pubblicato uno sotto la guida di Castronovo con tutti i profili dei Cavalieri del lavoro, mentre non ha mai visto la luce un progetto della Treccani coordinato da


[1] G. Mori, Le fonti d’archivio e la storia dell’industria italiana, in Studi in memoria di Mario Abrate, Milano 1986, p. 635.

[2] Una notevole quantità  di informazioni è reperibile anche nell’editoria d’occasione che è stata schedata nell’opera (a cura di) F. Dolci, Fonti per la storia del lavoro e dell’impresa in Italia: l’editoria d’occasione. Una bibliografia (sec. XIX e XX),con un saggio introduttivo di F. Della Peruta, Angeli, Milano 1999.

[3] S. Lanaro, L’Italia nuova. Identità  e sviluppo 1981-1988, Einaudi, Torino 1988, p. 19.

[4] A questo proposito si veda l’ampio saggio bibliografico redatto da D. Bigazzi, La storia d’impresa in Italia. Saggio bibliografico 1980-1987, Angeli, Milano 1990, pp. 43-44.

[5] V. Castronovo, Cento anni di imprese. Storia di Confindustria 1910-2010, Laterza, Roma-Bari 2010; e F. Amatori e A. Colli, Impresa e industria in Italia dall’Unità  a oggi, Marsilio, Venezia 2003.