Quale utopia?

Italo Calvino e la mappatura del non luogo

Autore: Pier Paolo Argiolas
Anno: 2013
Pagine: 176
ISBN: 978-88-95692-82-1
Prezzo: € 15,00
Note: Formato cm 16.5x 23.5

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Il libro

I classici attendono di solito molti decenni per meritare di essere ritenuti tali.

Vi sono però autori e opere per i quali questo differito riconoscimento tende a risolversi in un immediato accordo tra attualità e pathos della distanza. Italo Calvino e le città invisibili, rappresentano uno di questi rari casi.

L’avventura letteraria calviniana si è contraddistinta per la ricerca continua di motori mitopoietici attraverso cui rinnovare i propri moduli narrativi. Questo alternarsi di soluzioni creative si è tradotto, nella tradizionale sistematizzazione critica, nella suddivisione della produzione calviniana in differenti fasi di elaborazione di poetica, scandite in diacronia e distribuite lungo tre fondamentali direttrici contenutistiche e formali: il filone neorealistico, quello della trasfigurazione fantastica (o dell’ironismo allegorico) e quello combinatorio e struttural-semiologico.

A queste macro-fasi della metamorfica tensione calviniana corrisponde una varietà di declinazioni specifiche e riconoscibili della sua militanza letteraria, capaci di spaziare dalla riscrittura dell’esperienza autobiografica a quella dei grandi classici della letteratura, dal colloquio coi poemi cavallereschi all’attenzione verso il tessuto urbano, dalla fiaba al conte philosophique, dal racconto ‘iconico’ – scaturito dalla descrizione e interpretazione d’immagini – al richiamo alla letteratura popolare e di consumo, dall’allegoria delle moderne teorie scientifiche all’applicazione di giochi matematici, dagli studi sulla percezione visiva al gioco linguistico, dalla combinatoria ristretta alla riflessione metaletteraria, dalla forma breve alla struttura a cornice.

Il mondo etico ed estetico calviniano ha inoltre sempre oscillato, in ossequio alla sua «insopprimibile duplicità dell’essere», tra polarità ben distinte ma complementari del suo impegno artistico, in una duplicazione degli orizzonti espressa in coppie oppositive ricorrenti divenute quasi antonomastiche – cristallo e fiamma, aprico e opaco, discreto e continuo, Saturno e Mercurio, san Giorgio e san Girolamo – attraverso cui porre sullo stesso piano, come indicato nelle testamentarie Lezioni americane, i valori espressamente richiamati e i contro-valori solo allusi.

Queste grandi opzioni della scrittura calviniana, di norma non circoscrivibili a una sola fase di poetica o a una singola opera, ma costanti e trasversali lungo tutta la sua parabola, vanno infine misurate nelle loro ricadute extra-letterarie, sociali e ideali, ossia nel rapporto tra mondo scritto e mondo non scritto, tra Letteratura e società, i due poli, secondo la terminologia calviniana, ai quali è possibile ricondurre le alternative precedentemente menzionate.

In un elenco così dettagliato, apparentemente onnicomprensivo e persino duplicabile, si avverte la mancanza di un ulteriore motore mitopoietico degno di figurare al fianco di quelli ora evocati, il cui ruolo, solitamente sottostimato, è posto al centro del presente lavoro: il confronto e cimento con la letteratura utopica quale genere letterario.

Gran parte della produzione calviniana, o per lo meno la consistente fase finale, oltre che entro i consueti e corretti binari della critica tradizionale, è leggibile anche come percorso di avvicinamento a una forma di scrittura pienamente utopica. In un elaborato del 1973 concepito per il volume L’utopia rivisitata, curato da Rita Cirio e Piero Favari e incentrato su una ricognizione sistematica delle prospettive della scrittura utopica secondo-novecentesca, Calvino si chiede esplicitamente, sin dal titolo Quale utopia?, quale configurazione narrativa possa assumere la scrittura utopica in un secolo che ha sostanzialmente decretato l’insignificanza della sua variante tradizionale e positiva, e dato spazio, viceversa, al contro-genere – la dystopia – che sin dalla scelta terminologica ne ha evidenziato il fallimento e negato i presupposti.

La partecipazione di Calvino all’operazione collettiva promossa dal volume Bompiani merita di essere ricondotta alla formula interrogativa del titolo citato, capace di sottolineare due distinti ma complementari aspetti della riflessione dell’autore ligure in materia. La formula interrogativa agisce innanzitutto sul piano della plausibilità, ed è segno delle evidenti perplessità sull’effettivo sussistere del genere utopico in un’epoca fondamentalmente pessimista, poco incline alla costruzione di un mondo dalle caratteristiche auspicabili e oltretutto privata dai progressi della tecnica di uno dei primi e più classici parametri della configurazione della fantasia utopica del non-luogo: un altrove dalle coordinate geografiche sconosciute.

La stessa formula interrogativa veicola un secondo aspetto altrettanto cruciale in questa analisi, incentrato, più che sull’effettiva possibilità d’esistenza del genere utopico, sulla selezione delle caratteristiche che possano assicurarne la sopravvivenza novecentesca. Il contributo calviniano infatti – posto a premessa degli altri ospitati nel volume – oltre a tracciare agilmente una piccola storia del profilo del genere, indugia anche e soprattutto sulla proposta di un rinnovato approccio alla scrittura utopica, considerata evidentemente, a patto di massicci interventi di ri-strutturazione, ancora produttiva in termini di fantasia costruttiva e di ricaduta filosofica, politica e sociale.


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