Un piccolo assaggio del libro Quando la notte non era…
Dalla prefazione di Massimiliano Messina
Le aurore boreali le ha solo immaginate Franca Nurchis. Ma nella sua mente le ha viste e vissute, pienamente, lasciando scorrere il libero gioco dell’intelletto e della fantasia. E vedendo le opere della pittrice e poetessa cagliaritana, leggendole, lo si percepisce: da quelle che definisce “la gioia di una notte” è stata avvolta e rapita, tanto da vivere uno stato di coscienza che alla “luce pura” da esse emanata conduce, facendola “coesistere, anche se per un solo istante, con il potere della loro forza e bellezza”. Tanto da sentirsi “figlia della luce”. E da questa cascata luminosa di colori e parole la Nurchis è stata investita. Una raccolta poetica, una mostra, “Quando la notte non era…”. Insolitamente, rispetto alle esperienze sperimentate in precedenza, sono nati prima i testi e poi le opere. Ha scritto molto l’artista, successivamente ha sentito l’esigenza di dipingere i suoi versi. Un percorso in fieri quello della “poettrice” cagliaritana, che ora trova il suo logico sviluppo. […]
“Quando la notte non era…” diventa opera compiuta, dove la poesia si espande, per raccontare, in poematica sequenza, l’esposizione, intervallando ogni immagine con la teoria di poesie ad essa ispirate. Il rapporto fra dipinto e parola diventa osmotico, i pensieri, brevi, flash, come pennellate rapide, energiche, veloci smottamenti di luce e lettere, si completano e definiscono, dando origine ad una silloge poetica che può brillare motu proprio, che vive in sé e per sé. E nel poieìn della Nurchis, nel “poietare”, nel suo fare poesia la luce è la musa necessaria. […]
Le aurore boreali. “Quando la notte non era…”: lo status fluttuante del tempo heideggeriano, del “non più ora” (la notte) e del “non ancora ora” (il giorno), dove solo l’ora presente è veramente, è l’aurora, mentre la notte passata non è più e il giorno futuro non è ancora. Nelle immagini sbalzate dalle sue opere l’artista congela, qui e ora, masse di luce in movimento. Luce bloccata, fermata all’istante, nella forma che più l’ha impressionata, archi aurorali mutevoli nel tempo breve e nello spazio, chiusi nel loro bozzolo di colori pronti ad esplodere. Come nell’immagine di apertura del volume, i toni scuri dei verdi e degli azzurri sfondano verso il rosso: “Affondavo nel cuore più freddo / di un oceano di colori / che in gelate di artista / spegneva il sole / e in danze lucenti accendeva cieli / silenti / quasi fossero pittori di luce…”. Franca Nurchis si lascia sospesa, lascia lo spettatore e il lettore dolcemente straniati. E la percezione estetica delle sue opere si confonde fino a fare corpus unico con le sue poesie. […]
Quando la notte non era…”: scorre, insieme alle poesie, una galleria di dipinti dove a rapire sono i blu profondi e il giallo oro, gli azzurri, i verdi, i rossi, che possono virare verso tonalità ora più cupe, ora più accese. Come le parole. Scintille, fiammate d’esistenza, legate anche a tormenti, fratture, a lacerazioni lasciate dentro, graffi di interiorità . Strappi di poesia rubati alla, rapiti dalla vita. Che esce pulsante, sofferta sì ma non stretta da lampi disperati, dalle poesie e dalle tele della Nurchis. La sua luce sprigiona bagliori, di speranza. I colori, cromie composite, si impongono tumultuosi, fuoriescono brillanti o si acquietano, disorientano o decretano sensazioni di pace. Gli ori, rubati a frammenti di retablo, fanno massa, pieni, corpi muscolari che si toccano, “Quando la notte non era / e per il giorno non vi era / posto…”. Si arrotolano i cieli “su oceani nascosti”, mari che si nascondono per poi prorompere, pieghe dell’anima, onde dell’esistenza, tra il blu notte e l’oro, che ritorna, quasi sempre. Trasmutano, “notturno sconfinato in croste di / cielo / a solcare inascoltato corde segrete di / stagione…”. Una sfera di luce sfonda prepotente la notte, regalando gradazioni cromatiche ansimanti. E “Là dove comincia il cielo / e il tempo del giorno si / allunga / masse di colore luce / danzano bellezza…”. In una tela una visione aerea, un lembo di sole, dall’alto sembra terra dorata baciata da un mare blu cobalto, “Dove va a smarrirsi l’armonia del / sole / che imporpora la luna prima del / buio…”: metafora squarciata della dualità della vita, nascita e morte, chiaro e scuro, che scivolano, impregnandoli, sui versi della “poettrice”. Ancora, colori bruniti, “… bronzi anneriti dal / sole…”, che si arrotolano anch’essi fino a sembrare una grande mano creatrice d’arte e universo. Oppure, giochi cromatici che arrivano a sconfinare in “notturni odorosi d’assenzio”. E “sfregazzi” e “cascami” di blu, verde, rosso giallo, “Tramontana di colori / culla e raggruma / come solco d’amaro / nostalgica alluvione di / ricordi…”. E vortici, che sfiammano verdi, gialli e blu, gonfiano “vele tese / nel turbinare obliante / della veridicità sospesa di nebbie / tessute / nel proprio orizzonte / unica realtà orante / nell’ora della luce”.
In fine, suoni di tela e poesia nella aurora – arazzo della Nurchis, quasi un manifesto dei suoi pensieri: “Dormiva l’oro del giorno / sul suo mantello blu / nell’incompiuto corpo / che per l’anima / fu nostalgia di bellezza / fuori dal tempo / in un frammento d’infinito”.
E in exitu: “Affido ai versi / l’ansito dolente / della fine che viene / e quando la paura / figlia della notte / canta l’ora rabbiosa / m’investe l’orizzonte…” e, figlia della luce, “la gioia di una notte”.