Un piccolo assaggio del libro Sardinia Hot Jazz

Musiche migranti
di Giacomo Serreli

Parte da Antonio Gramsci questo percorso che ci fornisce in maniera puntuale materiali e riflessioni per capire quale sia stata l’evoluzione del jazz dalle nostre parti. Parte dal Gramsci che a Torino si trova a svolgere la sua attività  di giornalista anche come critico di spettacoli teatrali per l’Avanti! per quattro anni, dal 1916 al 1920; ed è già  attento osservatore dei climi e delle influenze culturali che arrivano da lontano. Lui che pure ha dentro di se quell’intenso “sardismo” che si nutre nella consapevolezza dell’importanza di riconoscere e approfondire l’esperienza delle proprie origini. Lo aveva manifestato anche in una lettera alla sorella Teresina: “lascia che i tuoi bambini – ammoniva – succhino il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati; ciò non sarà  un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro”. Gramsci avvia le sue personali valutazioni su un fenomeno musicale quale quello del jazz che già  dal 1913 ha cominciato ad appalesarsi con le sue primissime incisioni, ma che troverà  contrastanti, se non pienamente ostracistiche accoglienze nel nostro paese; osteggiato dal regime fascista, guardato con netta diffidenza anche negli ambienti comunisti. Al punto da trovare pochissime e marginali rappresentazioni nella nostra isola in quel lasso di tempo compreso tra le due guerre che fanno da apripista a una ricerca che l’autore scandaglia minuziosamente proprio nel periodo a cavallo del secondo conflitto mondiale. E da questo momento che cominciano a delinearsi figure ed eventi che segneranno una più consapevole presenza del jazz nella terra dei nuraghi.

Dalla fugace, eppure leggendaria, apparizione di Glenn Miller nella città  di Cagliari per la gioia delle truppe americane presenti nel capoluogo; allo storico e imprescindibile ruolo svolto dalla programmazione di Radio Sardegna, da Bortigali a Cagliari, nell’Italia appena liberata. Perché è soprattutto al suo interno che cominciano a muoversi giovani musicisti che dal verbo del jazz attingeranno per la loro formazione culturale e stilistica. Il primissimo Fred Buscaglione, arrivato con le stellette da Torino; l’epopea dei fratelli cagliaritani Franco e Berto Pisano. Tutti accomunati dallo stesso destino e dalla necessità  comunque di svolgere la loro attività  proprio fuori da quel contesto regionale nel quali avevano mosso i primi passi.

Anche il jazz è quindi ancora sinonimo di emigrazione per i sardi. I musicisti sono costretti a attraversare il Tirreno. I fratelli Pisano come altri meno conosciuti ma basilari pionieri del jazz sardo. Altri fratelli allora, come Mario e Beppe Carta che in Sardegna trascorrono un breve periodo e già  dal 1926 sono attivi nella capitale. È lo stesso periodo in cui nasce a Cagliari Carlo Pes, ritenuto uno dei migliori jazzisti della generazione della grande guerra. Ma anche lui costretto a ritrovarsi a Roma con la famiglia emigrata per ragioni di lavoro.

Claudio Loi attraverso una puntigliosa ricostruzione, testimonianze e ricordi ci rievoca questa pionieristica attività  dei primi sardi dediti al jazz per farci approdare al periodo degli anni Sessanta per il quale risulterà  fondamentale, come lo era stato negli anni Quaranta, ancora l’apporto della radio.

Con l’intensa programmazione di Radio Sardegna (ora sotto l’egida piena della Rai) che ospiterà  concerti, esibizioni nei suoi studi non solo dei rappresentanti della scena tradizionale e popolare isolana. Anche molti musicisti ispirati e vicini al jazz; e la radio accentuerà  quella sua preziosissima funzione di divulgatrice di questi nuovi suoni. Offrirà  visibilità  a nomi di allora giovani ma già  protagonisti della nascente scena jazzistica come Alberto Rodriguez, Marcello Melis, Gianfranco Mattu, il chitarrista Guido Artizzu, anche lui poi a Roma, il cantante Ninni Manca.

Giustamente la figura di Marcello Melis occupa uno spazio più ampio, commisurato al suo ruolo di “emigrato della cultura” come era stato definito, ma anche perché sarà  il primo, nel convulso progredire del jazz degli anni Sessanta, a contatto con le radicali scelte del free, a trovare una sua personale collocazione nel panorama nazionale (e non solo) e a cercare ispirazione e un dialogo anche con elementi della cultura musicale tradizionale isolana.
Aspetto questo che ne farà  l’assoluto primogenitore di una concezione espressiva che troverà  seguito e più approfondite sperimentazioni a partire dagli anni Novanta.
Ma è questa è già  storia d’oggi.

Claudio Loi ha già  provato a disegnarla in altri saggi nel quale compaiono analisi anche di aspetti che ci portano però idealmente allo sviluppo della scena jazz qui raccontato.
La straordinaria passione, cioè, e capacità  d’inventiva e personale lettura e metabolizzazione degli schemi del jazz da parte dei nostri artisti, spesso costruite fuori dalla loro regione di origine.
Un po’ come accade oggi. E allora questo saggio che avete tra le mani funge da prologo di questo lungo percorso tracciato dall’autore; ha un valore propedeutico quasi per capire l’evoluzione che questa musica cosi lontana dalla cultura sarda, ha trovato anche da noi, mettendone in luce geniali assimilatori e brillanti propositori e divulgatori.