Canone a specchio

Autore: Maria Gioia Massidda

Anno: 2019 (Uscita 20 maggio)
Pagine: 196
ISBN: 978-88-98692-62-0
Prezzo: € 14,00
Formato: 15×21
Note: nd
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Il libro

Un medico cagliaritano, che si ammala di cancro, negli ultimi mesi della sua vita riuscirà a riabbracciare il suo antico amore di sempre, che non vedeva da oltre trent’anni. L’incontro non si concluderà come desiderava, i due infatti, pur continuando ad amarsi, non riusciranno neanche quest’ultima volta a rompere la gabbia interiore nella quale si erano entrambi rinchiusi, ognuno a suo modo. Lui però farà infine pace con se stesso, grazie anche al rapporto con una sua giovane paziente: pur malato, riuscirà a combattere la malasanità che rischiava di ingoiare nella sua voragine la ragazza indifesa, “scambiando” la sua vita con quella di lei. Canone a specchio quindi: variante del Canone inverso, detto anche Canone cancrizzante, perché come il granchio fa camminare all’indietro le ultime note, a raggiungere le prime in direzione ostinata e contraria.

L’Incipit

Mi chiamo Giosuè Satta e sono morto. Sono morto a occhi aperti, proprio come volevo, e riposo con serenità in un grande vuoto di nulla, dolce e pieno.
Ora sono cibo per gli abitanti del mare. Nel fondo degli abissi, come il vecchio Prospero, ho gettato la mia bacchetta magica, che in fondo non era mai servita proprio a niente.
Le mie ceneri sono state gettate intorno allo scoglio di S. Elia, nel golfo di Cagliari.
Il plancton è stato grato.
Anche i pesci piccoli, che del plancton si nutrono. E anche, ovviamente, quelli grandi.
Cagliari è la mia città, profumata d’alghe e di madreperla. Il suo cuore è il mercato di S. Benedetto, dove, nei frutti di mare, taluni chiusi, altri a bella posta spalancati all’ammirazione dei clienti, si aspira il profumo della donna. Forse per sentire quel profumo mi sono messo a navigare, tracciando per bene la mia rotta più frequente: cinque miglia, se contiamo dal porticciolo di Su Siccu fino al pontile di Marina piccola, o, dall’altra parte, fino ai pontili della SARAS.
Ma anche al microscopio si osserva l’infinito.
Scelsi io la barca che poi comprai insieme al mio amico Giovanni, passeggiando, come sempre solo, tra le banchine della Lega navale e godendo di quell’insieme di aromi di sale e petrolio, putrefazione e vita.
Mi piaceva specchiarmi nella luce ambigua della lama d’acqua, colorata d’ottanio dai residui della nafta. E quel confine sottile che sembrava distinguere e unire vita e morte delineava infine una linea
di freccia che conduceva a lei: una barchetta modesta, di soli nove metri e dieci, ma nobile, agile, veloce e snella. E sicura.
La compro, mi dissi.
Lei era il Kairòs. La cosa giusta al momento giusto.
Avevo quarant’anni, e in barca c’ero andato assai poco, e più da ospite che non da conducente.
Con pazienza imparai ad armare il fiocco, issare la randa, cazzare le vele e mettermi alla prova. Io, proprio io, che le prove le avevo sempre schivate, imparai a governarla e a parlare con lei, a condurla e a lasciarmi condurre.
E la mia barca mi è stata utile e vicina anche in questo ultimo tragitto di sofferenza: perché, per soffrire, ho sofferto, prima di morire.
Ma sono morto molto sereno.
Alla fine del percorso sono stato colto da una passione per la vita che non avevo mai avuto prima e il tormento fisico mi è sembrato una cosa tranquilla e giusta, in sintonia con la vita stessa, questa macchina tremenda, stritolatrice e produttrice di cellule.
Ho visto con calma il mio corpo decadere, arrugginirsi, guastarsi, incepparsi e infine bloccarsi per sempre.
E ho visto l’amore, il mio amore, frantumarsi e finalmente ricomporsi dentro un alveo più giusto.
Nella mia vita sono stato un discreto medico; un ottimo pazzo; un decente navigatore.[…]