Fermata al 58
Autore: Salvatore Pinna
Anno: 2018
Pagine: 224
ISBN: 978-88-98692-61-3
Prezzo: € 14,00
Formato: 15×21
Note: nd
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Il libro
Il racconto dei primi quattordici anni di vita nel quartiere Castello di Cagliari, dal 1944, quando il protagonista vi giunge ad appena un anno, fino al 1958 anno cruciale. Lo sguardo di un ragazzino “che vede”, allinea i fatti in un modo che fa intuire una comprensione del contesto sociale e del valore drammatico degli eventi. E perfino del modo in cui “il vento della storia” complica la vita delle persone a incominciare dalla sua. Il tutto è reso con il linguaggio del protagonista ragazzino, che non è necessariamente banale e infantile. L’osservazione attenta e allo stesso tempo sorpresa, assume in tutto il racconto degli autentici toni epici.
Il Prologo
Io dico che non potevo nascere in altro luogo che a Cagliari, in Castello, in via del Duomo, al numero civico tredici, e non potevo non far parte del Circolo San Saturnino. A dire il vero in questi luoghi, che si contengono l’uno nell’altro, io non ci sono nato eppure ne sono stato generato. Allevato in mezzo alla cantilena marcata della gente, nel piacere intenso dello spazio aperto, dell’acropoli che tutto abbraccia e sovrasta, mi sono sentito subito adatto a quel luogo, fatto della sua stessa indole. Ho goduto la città dall’alto ogni giorno, ogni giorno ho avuto da ogni lato, mi pareva, il mare e le lagune. Ogni giorno ho respirato il profumo acre e dolciastro di pesci, di oli bruciati e di libertà. Quando per alcuni mesi d’estate venivo spedito a “respirare aria buona” a Lanusei nella colonia degli impiegati statali, oppure al paese, ospite di zio Burico, pregustavo il momento del ritorno. Ancora prima di arrivare alla stazione ferroviaria di via Roma, la città mi dava il ben tornato col tanfo del mare vicino e il profumo penetrante dei fumi delle sue poche officine.
Quelle cose che avevo appreso dai luoghi dove ero effettivamente nato, come la tentazione del silenzio, dell’orgoglio, della chiusura, le portavo dentro di me, anzi le mettevo a disposizione, senza che Cagliari pretendesse che me ne distaccassi, mescolandole nell’esperimento di umanità meticcia che era la sua essenza più vissuta che consapevole. Da capitale che non è di nessun luogo e che ti sa circondare di una stupenda indifferenza, la città mi ha permesso di continuare a “portare” le piccole memorie chiuse davanti allo spazio aperto e infinito dove ogni cosa è possibile. Forse non avrei capito questa infinitezza, se non mi fossi conservato dentro anche la memoria di un limite. Fuori dall’odore di Cagliari non avrei capito il profumo delle ciliegie di Modolo, che per me era quello della barba del finocchio selvatico, che le avvolgeva come un imballaggio, e che si sprigionava dalla valigia traboccante che mia nonna portava dal paese. Altre cose non capirei, se non avessi vissuto con la gente di Casteddu e Susu, se non mi fossi mischiato nella speciale umanità di via del Duomo del Circolo San Saturnino, se non mi fossi incontrato con quelle persone semplici e straordinarie, sorprendenti e ancora sorprese della vita, che si raccoglievano nel Circolo San Saturnino. Di un genere che non ho incontrato più.