Linea 3
Un quaderno trovato sul bus
Autore: Giampaolo Nonnis
Anno: 2013
Pagine: 192
ISBN: 978-88-95692-14-2
Prezzo: € 13,00
Note: disponibile da ottobre 2013
#
#
#
La premessa
Sono stato più fortunato di Miguel de Cervantes Saavedra: non ho dovuto sborsare neppure un centesimo per il mio quaderno manoscritto, né ho dovuto cercare un arabo “convertito” e ospitarlo in casa mia perché lo traducesse. Il mio manoscritto non ha la comicità sublime del “El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha”, non ha la serietà del manoscritto trovato da Alessandro Manzoni e dei “Promessi sposi”, non ha la storia, l’ironia e la forma dell’italiano risciacquato in Arno. Non sono dovuto scappare da Praga, arrivare a Vienna, avere il cuore vuoto sul Danubio, pescare a Buenos Aires un’opera in latino secentesco frutto di una traduzione dal neogotico francese di un testo latino scritto da un monaco tedesco sul finire del ’300. No! Non sono un erudito scienziato come Umberto Eco, che intitola il suo affresco medioevale “Il nome della rosa”.
Ho solo trovato, sotto un sedile del bus della Linea 3, un quadernone a quadretti.
12 Dic 2013 alle 18:30
Stupisce questo libro per la sua originalità, perché certo non è un romanzo tradizionale, né una raccolta di poesie o di racconti, ma è un libro capace di contenere diversi generi letterari ed espressivi.
Il delizioso ed ironico incipit che merita di essere letto e gustato, ci fa intuire quale sia il livello del lavoro di Giampaolo Nonnis. L’autore comincia con una finzione, già nota in letteratura, ma ancora geniale se utilizzata con accenti nuovi, direi divergenti rispetto ad aulici ritrovamenti di prestigiosi manoscritti ad opera di importanti autori. Il Nostro, con evidente ironia, nutre la narrazione utilizzando gli appunti, apparentemente disordinati di un logoro quadernone a quadretti trovato causalmente in un bus della linea 3.
L’elaborazione di questi frammenti di memoria, si trasfigurano come in un sogno. Ignorata una rigorosa sequenza cronologica dei fatti, la narrazione è fatta di costanti salti temporali e spaziali. Un andirivieni nel tempo e nei luoghi seguendo legami sottili ed emozioni che divengono spesso il filo di collegamento. La memoria fatta sogno diviene racconto, emozione, poesia e questa in particolare non è altro rispetto alla prosa, ma si intreccia, riflette, commenta, sostiene il dipanarsi del romanzo. Una scelta letteraria di alto profilo che ricorda il ruolo poetico, ma anche funzionale del coro greco.
Il protagonista del romanzo é Avendrace Cabùla, che scopriamo giovane studente, divergente, curioso, e pluribocciato, perché in opposizione ad una scuola pedante e noiosa. Nel libro si ha una ricostruzione divertente, ma soprattutto esemplare ed efficace, dell’atmosfera della scuola degli anni ’50.
Poi Avendrace è marinaio nella Marina Militare ed ancora è divergente, curioso, ma serio professionista, capace di profonda sensibilità e capace di indignarsi. Fascinosi i racconti di mare. Memorabile la descrizione della tempesta a bordo del cacciatorpedinere.
Quindì Avendrace Cabùla è a sua volta docente. Docente divergente e creativo tanto per rimanere fedele a se stesso. La scuola ha un ruolo importante in tutto il libro al punto che risultano differenti valutazioni indicative di diverse sensibilità come è capitato di verificare. Qualcuno dice che la narrazione sulla scuola è troppo insistita altri rilevano un’acuta capacità di riflessione nel far emergere criticità e dubbi. Indicativa la telefonata tra due insegnanti dopo una complessa, ma pure routinaria, giornata scolastica.
Infine professor Cabùla è pensionato. Si coglie ora una riflessione matura e serena. Senza arrovellamenti sul passato che può essere un segno di saggezza, se la vita è stata spesa bene. Verrebbe da citare Il giorno fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle.
Per questi motivi crediamo che questo libro si possa definire nella sua leggerezza stilistica, spesso ironica, come un profondo romanzo di formazione.
Si diceva dello stile, asciutto, essenziale, con periodi brevi. Esso si muove su due livelli: quando è l’autore a parlare, il linguaggio è volta a volta lirico, poetico, riflessivo, con una narrazione avvincente. Se sono i personaggi del romanzo che parlano, il linguaggio muta e se necessario diviene secco, rude, talvolta sboccato, con un uso pertinente e efficace del sardo.
Antonella Sandri