Indovinellus, indevinzos, abbisa abbisaIndovinellus, indevinzos, abbisa abbisa

Il libro degli indovinelli sardi

Autore: Franco Melis
Anno: 2002
Pagine: 392
ISBN: 88-87636-27-5
Prezzo: € 15,00
Note: nd

La prima raccolta generale e sistematica degli indovinelli della tradizione popolare sarda che comprende 465 testi tradotti, commentati e comparati con quelli di altre regioni e altri paesi. I versi degli indovinellus campidanesi, degli indevinzos logudoresi, degli abbisa abbisa galluresi prospettano originali visioni del reale attraverso le quali affiorano gli usi e i valori dell’antica società  sarda…

Recensione

(dall’Unione Sarda del 14/06/2002 )

Chissà  chi lo sa dove sta la verità  (di Serena Schiffini)

Custu versu ddu distinguas / po indovinai custa cosa / de s’òmini a duas linguas / e portat boxi strepitosa.
Qual è la soluzione dell’indovinello della Trexenta? Forse la traduzione sarà  d’aiuto: Cerca di capire questo verso/ per indovinare il fatto/ dell’uomo a due lingue/che ha una voce strepitosa. Con un’immagine d’effetto, dietro il gioco verbale si nasconde il suonatore di launeddas che tiene in bocca le canne dello strumento musicale. La metafora dell’uomo a due lingue potrebbe essere utilizzata anche per rappresentare la capacità  di usare due linguaggi: quello comune, di tutti i giorni, e quello degli indovinelli fatto di poesia, enigmi rimati, doppi sensi. Come quella delle launeddas, la “voce” dell’indovinello è strepitosa per la sua capacità  di catturare l’attenzione, incantare e divertire.

La Sardegna possiede una ricca collezione di indovinelli autoctoni come quello delle launeddas che, con il passare del tempo, si sono confusi con giochi enigmatici di altri Paesi arrivati nell’isola con il passaparola. Finora nessuno studioso sardo aveva mai lavorato a una raccolta isolana di queste perle della tradizione popolare che, in altre regioni italiane, sono salvaguardate da tempo.

Con quattro anni di ricerche appassionate che l’hanno portato a scartabellare nella biblioteca di Belluno, nell’Ambrosiana di Milano, nella Discoteca di Roma dove sono conservati nastri con la registrazione indovinelli, canzoni e detti popolari, Franco Melis ha compilato quello che definisce “un primo repertorio, tendenzialmente onnicomprensivo, degli indovinelli in lingua sarda”. Nel suo libro degli indovinelli sardi Indovinellus, indevinzos, abbisa abbisa  (Aipsa Edizioni, pagg.368, 15 euro) ne raccoglie traduce e analizza 465, dopo averne selezionato un migliaio e aver scartato più di cinquecento doppioni o varianti di poco interesse.

Il volume – opera prima dell’autore – verrà  presentato stasera (ore 18,30) a Cagliari, nella sala degli Amici del libro nel largo Carlo Felice.
La datazione degli indovinelli non è semplice, ma la ricerca li colloca tra la seconda metà  del Settecento e il Novecento. Sono stati comparati con la produzione di altre regioni e nazioni come Francia, Germania, Libia, Spagna; per maggiore chiarezza, Melis li ha poi suddivisi per argomenti: aratura, strumenti musicali, vino, pastorizia. “C’è ancora tanto lavoro da fare – dice l’autore – spero che i miei sforzi diano impulso a nuovi studi”.

Franco Melis non è un glottologo né tantomeno uno studioso di tradizioni popolari; semplicemente è un amante dell’enigmistica classica da quando era ragazzo. “In casa mia un po’ tutti avevano la passione per enigmi, sciarade o per il lucchetto” dice l’ex dirigente delle Poste, in pensione da quattro anni, “persino il mio insegnante di matematica al Dettori, il professor Aresti, scriveva alla lavagna crittografie mnemoniche che chiedeva agli alunni di risolvere”. La maturità  non ha fatto tramontare l’interesse: Melis fa parte del gruppo di enigmisti cagliaritani “All’ombra del nuraghe” che si danno appuntamento per risolvere gli enigmi proposti dalle riviste specializzate “Il labirinto”, “Sibilla” e “Penombra” (“A Cagliari esiste anche un altro gruppo, “I grezzi”). Da qui il grande interesse per gli indovinelli che, quattro anni fa, si è trasformato in lavoro di ricerca su centinaia di testi e sul campo, con viaggi in giro per la Sardegna per raccogliere da testimoni diretti “quelli che il Cirese definì “fili esili di poesia”". “Il risultato più importante – dice l’autore – è poter dimostrare che un corposo numero di indovinelli – il 40 per cento – sono autoctoni. Sono quelli legati alle tradizioni sarde dell’aratura, delle superstizioni o degli strumenti da lavoro. Le mie ricerche hanno rivelato che Tempio è stato uno dei paesi più produttivi”. Sulla loro autenticità  non ci sono dubbi, mentre per gli indovinelli che si rintracciano anche in altre regioni si può pensare che siano arrivati nell’isola passando di bocca in bocca, oppure – se costruiti su metafore elementari – che siano stati inventati contemporaneamente in più luoghi.

Un altro aspetto ha interessato Franco Melis: “La possibilità  di ricostruire attraverso l’indovinello la realtà  sarda di un tempo, riscoprendo elementi folcloristici di cui si era perso il ricordo o codici di comunicazione molto complessi come le alburee-indovinelli, utilizzate anche per lanciare messaggi in codice”.
Una sezione di Indovinellus, indevinzos, abbisa abbisa, è dedicata a quelli che nel Logudoro venivano chiamati istifinzos pilosos, gli indovinelli scabrosi costruiti sul doppio senso spinto. “In questo campo, la produzione sarda è limitata, mentre in Veneto le percentuali sono altissime” continua l’autore della ricerca. In Sardegna sono pochi ma buoni, come quello della scarpa stretta: Unu vinisi/ e mi ra punisi/ di cantu fesi/ mi zira intresi. Ovvero: Venne uno/ e me la mise/ tanto fece/ che me l’infilò. O della calza di lana che è “nascosta” nel gioco di parole logudoresi: Pilu e pilu/ alza l’anca/ e ti la infilu. Traduzione: Pelo e pelo/ solleva la gamba/ e te la infilo. Melis dà  questa spiegazione: “La società  sarda vedeva il sesso come un fatto naturale e rispettava la sacralità  permanente delle relazioni d’amore. D’altronde si dice s’amore non est sucu, l’amore non è un brodino”.